Guardavo fuori dalla finestra, la strada era buia, le deboli luci dei lampioni non riuscivano ad illuminare che un paio di metri. Sentivo l’aria fresca della sera accarezzarmi la pelle, sentivo i rumori delle macchine che veloci sfrecciavano via. Ed io restavo lì. Immobile, inerme con i miei pensieri che furiosi scorrevano bloccando ogni mia possibilità di movimento.
Divorata dalla solitudine cercavo sicurezza nei fari delle automobili, nonostante tutto, non ero sola in questa terra. Chissà cosa stavano pensando gli automobilisti. Chissà se anche loro erano assorti o se realmente prestavano attenzione a ciò che stavano facendo.
Ci sei sempre tu nei miei pensieri, sempre il tuo viso, le tue mani, immagino tutto di te, persino il tuo odore. La tua pelle bianchissima e delicata, i tuoi pianti, i tuoi sorrisi. So già che saresti stato bravissimo. Mi avresti voluto bene e io ti avrei amato più di qualsiasi altra cosa. Avrei dato la vita per te. Per te, così piccolo, così indifeso.
Spesso la notte mi sveglio all’improvviso per il suono della tua voce, mi sveglio di soprassalto per venire a calmarti. Poi guardo accanto al mio letto e realizzo che non c’è nessuna culla, ma solo un grande spazio vuoto, come nel mio cuore, come nel mio grembo.
Sei mai esistito? Posso dire che tu sia mai esistito? Sei come un sogno, uno di quei sogni che sembrano così reali, così vividi che quando al mattino apri gli occhi sei sicuro di aver vissuto davvero. Tu sei così per me, ti ho incontrato ogni notte e ogni giorno nei miei pensieri.
Una macchina scura scorre via veloce, poi frena di colpo. Mi spavento, la osservo senza metterla a fuoco e capisco che è ora delle pastiglie. Tranquillanti, antidepressivi, psicofarmaci. Ormai sono il mio pane quotidiano. Il pane, quello vero, marcisce nella dispensa. Come me, del resto. Anche io sto marcendo. Piano, piano, giorno dopo giorno, muoio un po’ alla volta. Sarebbe stato meglio morire subito. Morire anche io.
Invece sono rimasta qui, su questa dannata terra, a fingere di vivere una vita che odio.
Quante cose avremmo potuto fare insieme, quanti posti avremmo visitato. Ti sarebbero piaciuti i giardini accanto al centro commerciale e avresti adorato il parco in centro. La nonna ti avrebbe accompagnato il mercoledì e il giovedì, gli altri giorni saremmo stati sempre insieme. Io e te. Io e il mio piccolo tesoro.
Ogni notte invece di sentire il tuo pianto desideroso della poppata, sento le mie urla strazianti in sala operatoria; invece di vedere il tuo viso addormentato, immagino quel mucchietto d’ossa e di carne che i dottori hanno tolto dal mio corpo. Per me eri tutto.
Non ti ho mai visto, eppure conosco ogni dettaglio di te.
Ogni minuscolo dettaglio del tuo corpicino è impresso nella mia testa.
Piango ore e ore senza accorgermi del tempo che passa. Mi sveglio con il volto bagnato dalle lacrime, ed in bocca ho il loro perenne gusto salato. Forse inizio ad abituarmici, forse non mi accorgo più di nulla.
Non ho bisogno di mangiare, non mi serve. Perché dovrebbe servirmi? Non devo più nutrire nessuno. Non ho più una vita che cresce dentro di me. Sono solo io, io e il mio dolore, io e i miei pianti, io e i miei sogni su di te. Io che piango per i miei sogni infranti, io che voglio morire, io che in realtà sono già morta.
Non hai un nome. Non avevo ancora deciso che nome darti, ero indecisa tra un paio e così avevo preferito aspettare di vederti per decidere. Stupida. Ora non posso neppure chiamarti per nome. Ora per tutti sarai sempre “il bambino”.
Il bambino perso. Il bambino morto. Il bambino mai nato. Il bambino.
Il mio bambino.
Sei la mia gioia e il mio dolore. Non posso parlare di te senza piangere, non posso pensare a te senza piangere.
Stavo seduta su quella poltrona blu da ore, fissavo il vuoto davanti a me. Sentivo freddo sulla pelle ma non avevo voglia di alzarmi per prendere qualcosa, una coperta, un cardigan. A che servono le cose terrene? A che pro combattere per la futilità materiale quando si sta morendo dentro?
Fingere che non sia mai successo nulla. Sarebbe bellissimo addormentarsi e risvegliarsi all’alba di un nuovo giorno con il sole che splende e capire che è stato solo un brutto sogno, solo un terribile incubo. Bruttissimo, per carità, ma solo un incubo, un’irreale creazione del subconscio.
Sento mani caldi accarezzarmi un braccio, apro gli occhi e la vedo. Mamma.
Mi sorride. Un sorriso spento, finto, un sorriso che sa di lacrime e dolore, un sorriso forzato e fasullo. Mi sembra invecchiata di dieci anni, quando realizzo che anche io forse sembrerò invecchiata.
“Come stai?” mi domanda continuando a porgermi quel maledetto sorriso di commiserazione.
Senza rispondere mi alzo dalla poltrona e vado davanti allo specchio del bagno, il cuore si ferma davanti a quello scheletro bianco. Ho il viso pallido scavato da occhiaie blu, le ciglia sono appiccicate dalle lacrime, il naso è screpolato le labbra arse. Sono molto più magra di quanto ricordassi, le ossa del bacino sono sporgenti, le unghie mangiucchiate, i capelli crespi e arruffati.
“Uno schifo.”
Dopo la terza tazza di the bollente aromatizzato alla cannella stanno tutti un po’ meglio. Perlomeno fisicamente. La mamma mi aveva preparato un sandwich e mi guardava sbocconcellare con tenerezza. Mi sembrava di essere tornata una bambina che fa merenda dopo aver eseguito bene i compiti pomeridiani sotto lo sguardo amorevole della propria madre.
“Vorrei morire.” non so perché ma questa frase mi esce forte e spontanea. Mia madre spalanca gli occhi e mi guarda preoccupata. Da quell’occhiata capisco che questa è stata la sua paura più grande dal giorno in cui.. da quel giorno.
Non so se ci incontreremo mai, forse un giorno quando chiuderò gli occhi e aspetterò che qualcosa capiti, che qualcuno mi porti via.
Quel giorno forse vedrò te, sarai come ti ho sempre immaginato, sarai il mio bambino, mi prenderai per mano, e mi accoglierai nel tuo mondo, un mondo diverso da questo, un mondo dove il male non esiste, dove esiste solo la felicità, la pace. I miei sono solo sogni, forse solo speranze senza nulla di vero, ma almeno ho questo.
Almeno mi rimane la speranza di rivederti.