“Questa stanza è come la mia anima,” pensò. “Sporca e disordinata.”
Sorrise. “Al diavolo.” si disse. “è una stanza e basta, e stamattina la cameriera la pulirà, cosa che non può fare con la tua anima. Chi te la può pulire, l’anima?”
Il protagonista di Nulla, solo la notte è Arthur Maxley, un giovane introverso e solo, che viene descritto magistralmente dall’autore come un ragazzo magro e curvo, pallido e dalle labbra rosso sangue.
Fin dalle prime pagine emerge l’animo tormentato e apatico del protagonista: un evento traumatico della sua infanzia, che ha avuto come conseguenza la separazione dalla madre, ha distrutto irreparabilmente la sua vita.
Tutto il romanzo è incentrato su una sola lunga giornata estiva del giovane Arthur e sui suoi incontri: dopo una nottata trascorsa a bere troppo, pranza un giovane amico che, per realizzare il suo sogno di aprire una tipografia per stampare poesie, gli chiede un prestito. Arthur rifiuta sostenendo di non avere i soldi e l’amico, insistente, lo incalza proponendogli di chiedere aiuto al padre.
Sentendo nominare il genitore con il quale ha un terribile rapporto, i dolorosi ricordi del passato riemergono in un’esplosione collerica contro l’amico.
Per la cena è in programma un appuntamento con il padre Hollys Maxley, sempre distante a causa dei numerosi viaggi di lavoro.
Nonostante un iniziale imbarazzo, tra i due sembra aprirsi una brezza di pacifica confidenza: dopo tanto tempo di silenzio, Hollys tenta di esprimere al figlio il suo desiderio di cancellare il passato e ricominciare un nuovo capitolo insieme.
Ma basta un piccolo imprevisto senza particolare importanza per far precipitare il dialogo sincero e far riaffiorare in Arthur tutto l’odio sepolto.
Dopo la disastrosa cena con il padre, Arthur si rifugia in un club dove assiste, quasi in trance alla performance di Volita, un’artista particolare, e dove incontra Claire, una sensuale ragazza ubriaca che cerca conforto e attenzioni.
Neppure con lei Arthur riesce a trovare un attimo di serenità: il giovane sente di essere fatto, come tutta l’umanità, per la solitudine e l’incontro di due disperate solitudini non può portare a nulla di buono.
La quotidianità di Arthur é inebriata dal troppo alcol, inghiottito con rabbia, più per stordirsi che per piacere, e dai frequenti viaggi immaginari, dove i ricordi rimossi della madre e dell’infanzia prendono il sopravvento sulla realtà.
Sono evidenti i riferimenti a Proust e alla sua personale “Ricerca del tempo perduto” che corrisponde al periodo trascorso accanto alla madre.
“Ecco qual è momento più bello della vita.” pensò, “il tempo perduto. Il tempo dell’estate, quando le foglie degli alberi s’intrecciano nella luce iridescente del sole.”
Pensava sempre alla sua infanzia come a una lunga estate ininterrotta, in cui una pigra felicità gli intorpidiva e gli deliziava il cervello e le membra.”
Lo stile di John Williams è una poesia che descrive la quotidianità: “I raggi di sole del mattino s’infilavano come dita curiose tra le lamelle socchiuse delle veneziane e gli sfioravano il viso con delicatezza, tiepidi e impersonali.”
“Perché nella sua visione era notte e la luna bagnava la scena di un tenue bagliore, impregnandola di una bellezza eterna e impossibile.”
Il romanzo ruota intorno alla tematica della solitudine come condizione umana: Arthur è un ragazzo molto solo a causa del trauma subito durante l’infanzia, ma anche il padre vive nel terrore della solitudine.
Durante il loro breve incontro, Hollys si sfoga con il figlio raccontando della sua solitudine e del dolore che prova a sopportarla: questo è il motivo per cui si è legato ad altre donne dopo l’allontanamento dalla moglie, per cercare di combattere quel sentimento pervasivo della solitudine.
“Non c’è niente di peggio che stare da solo, quando non sei abbastanza forte per affrontare i tuoi pensieri. Puoi sopportarlo fino a un certo punto e poi… be’ alla fine non ce la fai più, e basta. Devi fare qualcosa, non importa quanto sia stupido.”
Arthur, sotto certi aspetti, ricorda l’Arturo Bandini di Fante: irrequieto, tormentato, essenzialmente solo e angosciato dai propri pensieri.
Un altro aspetto importante che viene più volte sottolineato è quello dell‘incomunicabilità umana e della difficoltà ad aprirsi con gli altri, specialmente con le persone più vicine.
Quando si prova a comunicare i propri sentimenti, ciò si rivela fallimentare, come quando il padre di Arthur tenta di ricostruire il rapporto con il figlio e, ad un passo dal riuscirci, questa possibilità gli viene negata.
“Nulla, solo la notte” è stato il romanzo d’esordio di un John Williams appena ventenne, e proprio per questo, può essere definito come un “esercizio di stile” di un giovane scrittore particolarmente dotato.
“Stoner”, invece, raggiunge sicuramente l’apice della proprietà di linguaggio di Williams, specialmente nelle ultime sublimi pagine che chiudono il romanzo.
Di “Nulla, solo la notte” é forse più apprezzabile lo stile che la trama, anche se Williams riesce sempre a catturare l’interesse del lettore.